IMPIANTO DI UN EMBRIONE DOPO LA SEPARAZIONE O IL DIVORZIO.

IMPIANTO DI UN EMBRIONE DOPO LA SEPARAZIONE O IL DIVORZIO.

La nascita o la morte dell’embrione dipende unicamente dalla volontà della donna che può
decidere da sola se procedere all’aborto o allo sviluppo del feto. Tale decisione può avvenire
anche in disaccordo con le eventuali scelte del compagno. Questo è il principio disposto dalla
nostra legge e dall’interpretazione dei giudici.


Il caso che ha dato vita alla discussa sentenza del Tribunale di Santa Maria Capua Vetere,
riguarda una coppia sposata che, in costanza di matrimonio, aveva deciso di ricorrere alla
Procreazione medicalmente assistita (Pma) per poter avere un figlio.

La procedura di procreazione aveva avuto un percorso complesso che aveva visto fallire il primo tentativo di impianto. Altri embrioni, però, erano stati congelati, in attesa di un nuovo tentativo.

Nel frattempo, però, l’uomo decise di porre fine al matrimonio, revocando il proprio consenso,
inizialmente prestato, alla procedura di procreazione.

La donna, che non voleva in alcun modo rinunciare al sogno di diventare madre, anche in considerazione delle minori possibilità di avere una gravidanza dovute alla sua non giovanissima età, si rivolse al Tribunale di Santa Maria Capua Vetere che, nell’ottobre del 2020, accolse la sua richiesta, ordinando al Centro di Procreazione di “procedere all’inserimento degli embrioni crioconservati nell’utero della donna”.
A seguito di tale provvedimento, l’uomo decise di contestare ulteriormente la richiesta della
moglie, ponendo alla base delle proprie argomentazioni non solo la legittimità del proprio
dissenso all’impianto, tenendo soprattutto conto dell’intervenuta separazione coniugale, ma
anche il proprio diritto alla revocabilità del consenso, originariamente prestato alla procreazione
medicalmente assistita, “fino al trasferimento dell’embrione nell’utero
”.


Secondo i giudici, la donna poteva impiantare gli embrioni creati e crioconservati anche senza il
consenso dell’ex marito, che, di fronte alla volontà della donna di tentare la gravidanza, perdeva
ogni possibilità di revocare un consenso validamente prestato.


I giudici argomentarono la loro sentenza ricordando che la possibilità di revocare il
consenso finisce con il momento della fecondazione: da allora, prevale il diritto alla vita
dell’embrione. Conclusione considerata in linea con la legge 40, che permette il congelamento
degli embrioni, così modificata dalla sentenza 151/2009 della Corte Costituzionale.

La scelta della donna, ex moglie, di impiantare un embrione dopo la separazione o il divorzio ha delle
importanti conseguenze anche sul padre, il quale, oltre a non potersi opporre alla prosecuzione
del percorso di fecondazione assistita, conserverà tutti i diritti e doveri morali ed economici
legati all’assunzione della paternità.

L’uomo sarà obbligato a riconoscere il figlio come proprio e a provvedere al suo mantenimento fino al raggiungimento dell’indipendenza economica, come se il bambino fosse nato all’interno del matrimonio. In sostanza, il padre non può ritirare il consenso dopo che la fecondazione è avvenuta.


Secondo tale interpretazione, non può rilevare, ai fini della revocabilità del consenso alla
procreazione, neppure l’eventuale tutela della nuova partner dell’uomo.


Il punto di equilibrio è garantito dalla possibilità, riconosciuta al padre, di cambiare idea sul
consenso fino al momento della fecondazione.

Prima che ci sia l’incontro del seme con l’ovulo, l’uomo può sempre tornare indietro. Ma una volta superato questo momento, la donna può scegliere unilateralmente l’impianto dell’embrione congelato.

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